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Anno Domini 2019: calcio e donne

Anno Domini 2019.

Dopo quasi 10 mila anni di esclusiva dominazione maschile nella società, nella storia/arti/scienza/sport, le donne hanno lottato nel corso degli ultimi 100 anni per acquisire diritti ed uguaglianza. In Inghilterra, una certa Nettie - detta Honeyball (letteralmente palla di miele) , commessa in una drogheria, si innamora del calcio tanto da volerne fare parte e dedicare ad esso la propria vita, arrivando a fondare nel 1888 il British Ladies' Football Club, sfidando gli stereotipi e diventando la prima calcitrice donna al mondo. Nel 1889 rilascia al Daily Sketch un’intervista in cui esprime candidamente il suo punto di vista, dicendo “Ho fondato l'associazione alla fine dell'anno scorso, con la ferma determinazione di dimostrare al mondo che le donne non sono le creature "ornamentali e inutili" che gli uomini hanno immaginato. Devo confessare che le mie convinzioni su tutte le questioni in cui i sessi sono così divisi sono tutte dalla parte dell'emancipazione, e attendo con ansia il momento in cui le signore possono sedersi in Parlamento e avere voce nella direzione degli affari, specialmente quelle che li preoccupano di più”.

Nettie Honeyball, 1885 - Image: News Dog Media

In questi cento anni tanto è stato raggiunto e conquistato (pillola, abolizione del delitto d'onore, voto ecc..), ma evidentemente non è abbastanza. Nel 2019 dobbiamo ancora sorbirci sproloqui come quello di Fulvio Collovati che durante la puntata di Quelli Che Il Calcio, senza troppi giri di parole, afferma che «Le donne non capiscono come gli uomini» e che quando le donne parlano di tattica gli si rivolta lo stomaco, causando ire e imbarazzo in studio e a casa. Nonostante molti top club europei investono molto nel calcio femminile, alcuni club italiani non hanno nemmeno la squadra: è un problema culturale? A questa domanda rispose già Martina Rosucci,una delle giocatrici italiane professioniste più forti in circolazione, in una intervista del 2016 per Soccer Megazine: È principalmente colpa del maschilismo della cultura italiana, che purtroppo non riesce ancora a vedere nella donna quella figura emancipata in grado di ricoprire ruoli di potere e responsabilità nella società, come avviene negli altri paesi del mondo. E di conseguenza questo si riversa anche nello sport, dove le donne non riescono ad essere considerate professioniste in alcuna disciplina.

Nonostante le donne che giocano/parlano di calcio/tifano siano in costante aumento (fenomeno raccontato dalla giornalista M.E. Casanova nel libro Tifose. Le donne del calcio - Odoya, 2018) il mondo del calcio italiano si pone al mondo “non maschio/bianco/etero” in tutta la sua fanghiglia intrisa di stereotipi, maschilismo, razzismo e omotransofobia. Non illudiamoci che siano elementi separati, queste sono tutti aspetti di un singolo fenomeno chiamato PATRIARCATO. Ricordiamo frasi dette da svariati personaggi rilevanti dell’ambiente come Ringhio Gattuso (onestamente prima di questa uscita era uno dei miei preferiti) che dice a Radio Radio “Penso che uno come Galliani, per tutto quello che ha fatto e per come ha gestito in tutti questi anni la società, meriti rispetto. E poi io le donne, mi dispiace dirlo, non le vedo bene nel mondo del calcio”, rimanendo fedele alla linea machista dell’italiano medio che vede la donna relegata ai ruoli prescritti. Non dimentichiamo l’uscita del 5 Marzo 2016 di Felice Belloli - presidente della Lega Nazionale Dilettanti che, in occasione del consiglio direttivo del dipartimento di calcio femminile senza il minimo pudore afferma “Basta! Non si può sempre parlare di dare soldi a quelle quattro lesbiche”, un concentrato di sessismo, omofobia, disprezzo e consapevolezza che le sue parole non avrebbero intaccato la sua posizione come non hanno mai intaccato la posizione di Feltri e dei suoi titoli sessisti, omofobi e carichi di odio. Ciò che accomuna tutti questi uomini è la certezza che nulla può accadere al loro status, nessuna conseguenza tangibile alle loro parole: continueranno a godere del loro status indisturbati.

A parte il fatto che le quattro lesbiche hanno finito per vincere un mondiale, mentre la nazionale maschile si leccava le ferite, ma poi come possiamo aspettarci rispetto da tifose, da donne che non stanno nello schema di “mamma e moglie” se le stesse professioniste vengono snobbate, insultate, pagate una miseria e non considerate nemmeno professioniste? La visione del ruolo della donna nell’ambiente del calcio (e i suoi vari satelliti mediatici) è evidenziata dallo scandaloso comportamento venuto alla luce con lo scherzo fatto dalle Iene ad Insigne; una normalità fatta di controllo, egemonia e violenza malcelata.

Il patriarcato non è un gruppo di individui, è un modo di pensare ed agire che lede tutti e si annida in comportamenti, parole e scelte, come la mafia. E come la mafia si fa fatica a riconoscerlo nella quotidianità come la montagna di merda che è. Eppure è lì, miete vittime e feriti. Il patriarcato è un sistema che lotta per lo status quo. Il femminismo è un sistema che lotta per il cambiamento.

Dopo un secolo ancora non è entrato abbastanza a fondo il concetto che le donne non sono meno degli uomini in nessun campo, che non siamo meno intelligenti, che siamo in grado di fare come loro o meglio, che siamo perfettamente in grado di capire le regole di un gioco, giocarlo e perfino avere delle opinioni in merito allo svolgersi del gioco stesso.

L’uscita infelice di Collovati non è la prima e non sarà l’ultima. Nonostante questa triste consapevolezza vorrei sentire la voce di quelle donne che orbitano nel mondo del calcio, a cominciare da giornaliste sportive come Ilaria D’amico, Federica Masolin, Vera Spadini o Eleonora Boi, delle mogli dai calciatori e dei dirigenti. Vorrei leggere le loro parole di sdegno verso chi sminuisce le donne che lavorano in questo ambito così fallocentrico, relegandole a belle statuine che leggono le notizie che il fallomunito di turno commenterà condendo la scena pietosa con qualche apprezzamento sulle gambe della stessa giornalista sorridente, che ovviamente si trova lì per fare la grechina decorativa a margine del foglio. Vorrei sentire la voce delle fidanzate che si sono rotte di sentirsi spiegare il fuorigioco come se fosse qualcosa fuori dalla loro portata (certo, noi non capiamo queste regole supercomplesse che solo un uomo può decodificare), vorrei sentire la voce di tutte le tifose, dilettanti o semplici curiose; le vorrei sentirle mentre chiedono a gran voce l'epurazione dal mondo del calcio per chi diffonde sessismo e razzismo; vorrei che la figura della Pina moglie di Fantozzi che serve la Peroni Gelata al marito intento a immergersi nel mondo del pallone diventasse parte di un passato triste.

Foraggiare certi comportamenti discriminatori è un atto complice che porta alla normalizzazione della discriminazione di genere, di classe e di razza.

La stessa Nettie, a fine Ottocento, vedeva la connessione tra pratica sportiva ad appannaggio di benestanti uomini bianchi come parte di un disagio sociale che, successivamente, vide il suo sfogo con il movimento delle suffragette che misero a ferro e fuoco (fisicamente) la società fino all’ottenimento delle richieste.

Siamo nel 2019. Ne volete un altro assaggio?

Altre referenze

Hong, F. & Mangan, J.A. (2004) Soccer, Women, Sexual Liberation: Kicking Off a New Era page 283 Taylor & Francis ISBN 0714684082


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